UNICO INDIZIO LA LUNA PIENA
di Daniel Attias
con Corey Haim, Gary Busey, Megan Follows, Everett McGill, Robin Groves; Origine: USA, 1985; Durata: 95′
Nella piccola città di provincia i cadaveri si sprecano. Chi è l’assassino? Un ragazzo handicappato nota che i delitti avvengono sempre durante i periodi di luna piena e da ciò risale al colpevole: un licantropo, ossia un uomo-lupo sensibile all’influsso del satellite. Il bambino in carrozzella giocherà anche un ruolo rilevante nella cattura del misterioso pluriassassino.
La storia del cinema è fatta di misteri e di coincidenze difficili da spiegare. La duratura collaborazione tra Dino De Laurentiis e Stephen King fa parte di questa zona ai confini della realtà dell’industria americana. Il produttore italiano aveva deciso di sfidare i concorrenti hollywoodiani sullo stesso terreno e aveva aperto degli studios permanenti in North Carolina. Lo scrittore era diventato un fenomeno mondiale e i suoi romanzi erano attesi dalle major con grande impazienza. Dino De Laurentiis iniziò a saccheggiare tutto quello che era rimasto sul mercato dei diritti per sfruttare al massimo la nuova stella polare dei gusti del pubblico. Silver Bullet è un caso esemplare del suo modus operandi anche perchè la biliografia di Stephen King non era ancora così ricca da offrire uno sterminato repertorio di soggetti. Le risorse del best-seller si erano esaurite con l’ottimo risultato di The Dead Zone di David Cronenberg e con la delusione di Firestarter di Mark L. Lester. L’esigenza di seguire l’onda lunga del suo successo letterario lo costrinse ad attingere al serbatoio delle raccolte. Dino De Laurentiis non è stato il primo a scommettere sulle qualità cinematografiche di Stephen King e la sua prima sceneggiatura risale al tempi di Creepshow. Il suo team-up con George Romero si ispirava al gusto macabro di Ed Gaines ed era un devoto omaggio a Tales from the Crypt della EC Comics. La storia di partenza di Silver Bullet venne presa da un calendario illustrato che lo scrittore aveva iniziato a comporre ma non aveva mai terminato. Stephen King aveva già adattato dei racconti per Dino De Laurentiis ai tempi di Cat’s Eye ma la natura lacunosa del suo stesso materiale lo ha messo davanti all’esigenza di stendere la sua prima sceneggiatura originale. Il film inizia dallo stereotipo kinghiano della comunità che deve affrontare una minaccia misteriosa. È la prima volta che un film coglie la natura paranoica dei suoi romanzi e si concentra sullo sfaldamento di un’amena comunità. L’impotenza dello sceriffo davanti ai brutali massacri dello sconosciuto assassino mette in crisi l’idea della legge e apre il campo ad una lotta di potere tra gli uomini del villaggio. Stephen King ha tutto lo spazio per liberare le sfumature da black tale delle sue storie e costruisce la storia su una bipolarità che era stata largamente sottovalutata in Cujo di Lewis Teague. Il cane rabbioso che assedia l’automobile isolata di Dee Wallace era visto soprattutto dal punto di vista della madre ma lo sguardo del bambino non era mai preso in grande considerazione. Silver Bullet affida il ruolo di protagonista ad un bambino paralitico e il doppio handicap conferma la predilizione dello scrittore verso gli outsider. L’eroe non soltanto non ha la credibilità per essere creduto quando racconta la verità ma non può nemmeno difendersi quando il lupo mannaro vuole ucciderlo per mantenere il suo segreto. Il mondo di Stephen King è un contesto spaccato in due in cui l’infanzia e l’età adulta non comunicano e spesso i piccoli devono unirsi per risolvere una situazione di cui i grandi non riescono a venire a capo. Silver Bullet propone la mediazione di uno zio alcolizzato che non ha ancora raggiunto la maturità per avere una considerazione sociale ma è abbastanza pazzo da farsi fabbricare un proiettile d’argento e aiutare l’insolita coalizione tra fratello e sorella. Il film ha una previdibilità che annulla la tensione narrativa al di là dell’abilità con cui Stephen King tesse i rapporti tra i personaggi: il colpevole è all’interno del paese ma la sua identità si capisce troppo presto. Il progetto complessivo di Dino De Laurentiis non ha il coraggio necessario per stravolgere l’esito finale del film. La mano di Daniel Attias è molto professionale e il produttore ha rafforzato la sua posizione con l’affiancamento di un esperto cane da guardia come Armando Nannuzzi. Il regista diventerà un nome affidabile dei serial e dei tv-movie e Silver Bullet da l’impressione di essere già in questa fase della sua carriera. La storia ha uno sviluppo solido e le corse sulla carrozzina-modificata del protagonista stabiliscono un ritmo godibile.
BRIVIDO
di Stephen King
con Emilio Estevez, Pat Hingle, Laura Harrington, Yeardley Smith, John Short, Ellen McElduff; Origine: USA, 1986; Durata: 97′
La fortuita congiunzione della Terra con la coda di una cometa provoca la ribellione delle macchine agli uomini. Ne seguono una serie di disavventure e di disastri. Alla fine tutti i protagonisti delle varie vicende si ritrovano prigionieri di minacciosi Tir in una stazione di servizio. Quasi come i pionieri circondati dagli indiani. Le fognature finiscono per essere l’unica via di scampo.
Stephen King si è lamentato spesso di come il cinema ha trattato i suoi romanzi e le sue accuse non hanno risparmiato nemmeno un mostro sacro come Stanley Kubrick. La collaborazione con Dino De Laurentiis è stata bizzarra come molte delle cose che sono riconducibili al magnate italiano ma lo scrittore non potrà mai rinfacciargli di non aver avuto la necessaria fiducia verso i suoi progetti. Il produttore credeva così tanto nelle capacità di Stephen King da regalargli addirittura la possibilità di esordire alla regia di un suo adattamento. Maximum Overdrive è tratto da uno dei suoi primi racconti e l’idea di un’invasione aliena che organizza una rivolta delle macchine appartiene all’iniziale fascinazione verso la fantascienza. Il film ha delle interessanti idee kinghiane ma paga la totale ignoranza cinematografica di chi lo ha realizzato. Il disegno di partenza prevedeva che lo scrittore doveva essere affiancato da un operatore esperto e fidato come Armando Nannuzzi ma un incidente sul set privò Stephen King della sua preziosa guida. La totale autonomia dello scrittore fa in modo che il film proceda senza il necessario know-how e Maximum Overdrive brucia delle intuizioni vincenti perchè le realizza sempre nel modo sbagliato. La sfida per la sopravvivenza tra l’uomo e il camion era stata portata sullo schermo da Richard Matheson ai tempi di Duel di Steven Spielberg. L’ammirazione dello scrittore per il suo maestro è un dato biografico troppo noto per essere ignorato ma Stephen King è interessato soprattutto alla situazione di assedio in cui un manipolo di esseri umani si rifugia in una stazione di servizio. La centralità di un avanzo di galera e di una battoncella richiama delle abitudini narrative fordiane ma Emilio Estevez e Laura Harrington non reggono nemmeno per un attimo il paragone con John Wayne e Claire Trevor. Le relazioni e i contrasti all’interno dell’edificio sembrano organizzati in maniera efficace ma in alcuni casi sembrano essere stati sacrificati per questioni di tempo e in altri frangenti sono annichiliti da una messa in scena svogliata. La scelta di usare il film come un trampolino di lancio per delle potenziali star si è dimostrata disastrosa perchè ha sommato l’inesperienza degli attori con quella del regista. Il caso emblematico è lo sfogo isterico della cameriera che si ribella alla schiavitù pretendendo un’obbedienza prometeica da parte dei camion. Lo spunto doveva aprire una riflessione sull’inversione di dipendenza dell’uomo e della macchina ma i rantoli e i movimenti a scatto di Ellen McElduff non solo disinnescano le potenzialità della scena ma la rendono del tutto ridicola. Maximum Overdrive sfuma lentamente dopo che tutte le sue carte sono state buttate al vento e la tonalità della parodia è una scelta che prova a dare un senso in extremis ad un film che gli era sfuggito di mano. La scelta dei personaggi si allinea alle necessità del pubblico dei teen-ager e punta sull’attrazione casuale e sessuale dei due ribelli. Il contrappunto è rappresentato dalla coppia di sposini che inevitabilmente viene attratta dalla loro condotta anticonformista. La situazione claustrofobica esalta il conflitto con la vecchia america volgare e avida e lo squallido personaggio del titolare dell’area di servizio è quello meglio riuscito anche per merito di un caratterista navigato come Pat Hingle. Gli sforzi di Dino De Laurentiis per mettere a suo agio la star furono encomiabili e arrivarono a garantirgli la colonna sonora di uno dei suoi gruppi preferiti: le musiche degli AC/DC sono molto pertinenti con l’umore del film. Le loro canzoni sono una delle poche cose memorabili e si dividono la scena con il potente impatto iconico dell’autocarro che trasporta i giocatoli e si trasforma in una macchina di morte.